No Ball Games

Testo di Veronica Iurich per Enrico Rassu

No Ball Games, il libro fotografico di E.R, esplora le persone in relazione a sé stesse e ai divieti che definiscono i contorni e i confini della propria esistenza.

Il titolo ci fa fare un salto indietro nel passato, fa riferimento ad una norma scritta riportata sui cartelli all’ingresso dei condomini, che proibiva ai bambini l’uso del pallone in determinati orari. A volte, però, l’urgenza del gioco e la voglia di vita avevano la meglio su quel divieto che per Enrico diventa il pretesto di una riflessione sul tabù, un’allusione a tutte le volte che ci siamo domandati mi allineo alla regola o sento la necessità di metterla in discussione aprendomi ad altre possibilità? No Ball Games definisce quello spazio liminale in cui avviene il passaggio dal desiderio al dovere, che caratterizza il transito dall’età infantile a quella adulta ma non solo, si riferisce a tutte le volte che incontriamo un bivio tra quello che siamo e quello che ci chiedono di essere. Ed è proprio qui che comincia la ricerca personale e artistica di Enrico. Dal suo trasferimento a Milano nel 2016, vive il mondo che ama, quello della musica, dell’arte e delle culture urbane, racconta i miti umanizzandoli, cercando dietro i sipari le persone al di là delle icone. É immerso in una sorta di meravigliosa epoca dei “giochi”, un mondo di sogni, di spettacolarizzazione, di possibilità e di illusioni che viene bruscamente interrotto nel 2021 dalla pandemia. Niente più tour, niente più eventi, nessun nuovo incontro. Il tempo, che prima sembrava bruciarsi in un istante, è diventato lento, a volte immobile. Ci sono solo silenzi e domande. In quel momento sembrano non esserci più storie da raccontare, trame da tessere. Tutto viene messo in discussione. Enrico si interroga su cosa cercare nella fotografia e inizia così una nuova indagine: un nuovo percorso esistenziale. Per Rassu scattare è un atto spontaneo, naturale ed esaltante, sente l’esigenza di una narrazione fotografica più istintiva, pelle a pelle. Decide di non utilizzare più i sistemi analogici della pellicola dove doveva aspettare gli sviluppi e gli Scan, preferisce la semplicità dell’immediato, della foto vista subito come con le Instax, per abitare il momento, incarnarlo e dargli consistenza. I suoi sono scatti sull’adesso, che nascono anche per celebrare l'umanità, per generare connessioni. Instax che oltre a vivere sul web approdano in spazi fisici che diventano veri e propri luoghi di crescita e di scambio tra le persone in cui si crea un ponte tra fotografo e fruitore e l’immagine continua a vivere arricchendosi di contenuti. Enrico reinterpreta il tempo, accorcia quello tecnico ma dilata quello dell’incontro, come se privilegiasse un tempo relazionale, perché la foto è un modo per conoscere l’altro e rivelarlo per chi è davvero, al di là delle maschere. Come un “antropologo dell’immagine” raccoglie dettagli e tracce che svelano l’identità del suo soggetto per fare si che l’altro si ri-veda e si ri-conosca, come dentro uno specchio. É questo il territorio che io ed Enrico Rassu condividiamo, quello in cui le immagini sanno parlare all’uomo dell’uomo. Come afferma Judy Weiser la fotografia ha un potere proiettivo, in essa è possibile rintracciare l’immagine metaforica di sé, ecco perché nel mio lavoro come counselor utilizzo la fotografia come pratica per incrementare la consapevolezza. Nelle foto ci sono tante ipotesi, tanti possibili racconti che ci parlano di noi. Enrico, come me, si interessa a questi racconti. E’ un cercatore di storie piuttosto che un narratore di miti. Scatta per vicinanza per cercare prossimità, ci presenta i suoi personaggi in modo dialogico e cinematografico: le sue foto sono concepite in dittici, come fossero storie condensate in due tempi. Prima viene introdotto il protagonista come in un fermo immagine, poi entriamo nel mondo del soggetto attraverso un’azione o un gesto iconico che ci rivela qualcosa del suo credo. E’ così che il fotografo nelle sue Instax ci ri- presenta, che significa rendere presente in un altro luogo, le persone che incontra, i ragazzi delle periferie urbane e adulti atipici, colti nei loro habitat, ci fa conoscere la sua gente e l’intenzione comune di trasgredire a “No Ball Games” per personalizzare il codice sociale, reinterpretandolo. Il fare foto di Enrico Rassu è un tentativo riuscitissimo di approfondimento sul chi sei e non sul chi vorresti essere o chi ti chiedono di essere.